
Era il 1992 e il professore Roberto Vecchioni pubblicava “voglio una donna”, una ballata vivace e molto orecchiabile inno all’essere donna tradizionale, con la gonna, senza carriera, senza “pisello”, con i capelli lunghi… qualche anno dopo infatti iniziarono a passare le canzoni di “Skin” una cantante inglese eccezionale con i capelli rasati, look che per l’Italia di quell’epoca era fin troppo audace.
Sia la gonna messa in musica del 1992 ma soprattutto Roberto Vecchioni che ne cantava le doti identificative oggi sarebbero considerate sessiste, in fondo era un inno alla femmina che rimane al suo posto, in una visione patriarcale della famiglia, che oggi non solo non ha senso ma sarebbe anche offensivo…. Probabilmente lo erano anche all’epoca non certo con tutto il clamore che genererebbero oggi tant’è che il professor Vecchioni è scomparso, forse anche per quella canzone, dai radar della cultura pop italiana.
Gonne, sessismo, fluidità di genere, rispetto per chi nasce in un corpo ma fa di tutto per averne un altro, ancora in bilico tra gonna e pantaloni, questi sono tutti simboli di una modernità ineludibile e inarrestabile che non può non essere considerata normale. In mezzo a tutto questo mi ha colpito molto la storia del collega Alessio, entrato in Polizia da donna, un genere che non ha mai sentito suo e che, duramente, ha deciso di cambiare.
Alessio come tutte le persone che iniziano un percorso di transizione sono individui che nella loro vita esprimono molto coraggio, estrema determinazione, combattono tanta sofferenza, per affermare qualcosa che la natura gli ha dato a metà o forse gli ha proprio negato.
La sua storia che da qualche giorno imperversa sui social, e che ad alcune persone certamente può apparire superflua, inutile, funzionale a un certo pensiero, anche politico, racchiude in sé alcune domande e determinate ipocrisie.
Alessio, all’epoca del giuramento, non aveva ancora concluso il percorso di transizione ma voleva indossare i pantaloni per la cerimonia di giuramento, cosa che l’amministrazione della ps, in maniera intelligente, gli ha concesso.
Tra le ipocrisie che girano attorno a questa vicenda, la prima: abbiamo bisogno di essere ancora l’Italia del 1992 che tollerava che un uomo potesse cantare e ballare della gonna come elemento distintivo di genere? Abbiamo bisogno di donne, poliziotte, con le gonne?
La seconda: se siamo stati in grado di accettare Alessio nella sua affermazione di uomo, contraria a determinati e desueti dettami, siamo in grado di accettare, con le giuste valutazioni, individui che indossano innocenti tatuaggi?
Nelle pieghe di questa vicenda si nasconde tutta l’ipocrisia di quei meccanismi di modernità solo quando si è costretti ad accettarli, in fondo se il sistema concede giustamente a un poliziotto transessuale di affermare la sua lontananza rispetto a un documento che lo classifica al contrario di ciò che sente perché non può accettare una divisa innocentemente tatuata?
Sarà per caso che il fronte politico legato alle battaglie sulle discriminazioni di genere è più forte di quello che vuole il libero tatuaggio di chi entra in polizia?
Non è forse più forte, o più discutibile, per un certo tipo di arcaico pensiero, chi decide di andare contro la scelta della natura rispetto a chi si è voluto tatuare il nome del proprio figlio sul polso?
Che dite? Cominciamo a combattere davvero certe ipocrisie diventando davvero un paese moderno?
In Giacca Blu – Michele Rinelli