“Colpa di un sistema senza valori” , così titola il quotidiano “Open” a seguito della lettera scritta dai familiari di Beatrice Belcuore, allieva Maresciallo che lo scorso 22 aprile ha deciso di mettere fine alla sua vita a soli 25 anni (https://www.open.online/2024/05/15/firenze-allieva-scuola-marescialli-suicidio/)
Il dramma dei suicidi nelle forze dell’ordine è un problema estremamente serio, sempre esistito, la cui genesi e ragioni necessariamente sfuggono alla certa e scientifica comprensione. Le logiche che stanno alla base di chi sceglie di suicidarsi, aldilà dell’epidemiologia applicabile a una “malattia” così difficile, rimangono chiuse nella testa e nei pensieri di chi un giorno non ha visto più vie di uscita al dramma interiore che lo ha colpito.
Il dibattito on line si è chiaramente scatenato, sono tante le risposte, le opinioni, le certezze, personalmente invece, pur rimanendo senza se e senza ma vicino al dramma di una famiglia che con quella lettera ha oggettivamente sganciato una valanga di melma sulla Scuola Allievi Marescialli di Firenze, non riesco a fare altro che pormi domande senza trovare però alcuna vera risposta.
Beatrice era una giovanissima donna, figlia di un brigadiere dei carabinieri, che aveva già vissuto il peso delle stellette, della disciplina, a tratti arcaica e pretestuosa delle caserme, non era nuova alle richieste illogiche, alle punizioni di gruppo, a tutto quel mondo che nella gerarchia e nell’obbedienza “senza se e senza ma” mette le persone sotto pressione ma nonostante questo decide di togliersi la vita dopo una discreta sequenza di messaggi inviati ai familiari dove denunciava l’assurdo di quel mondo.
Tra i tanti, tantissimi commenti sulla mia pagina facebook uno in particolare mi ha colpito, parole scritte da un coetaneo di Beatrice, in quelle affermazioni si leggono tutte le valutazioni di chi, in qualche modo, ha raccolto racconti, opinioni o, forse, le ha vissute in prima persona:
Parole queste che ancor prima di scaricarci di responsabilità definendo questa ragazza debole, magari non portata alla vita militare dovrebbero innanzitutto farci riflettere su cosa effettivamente dobbiamo e possiamo chiedere a questi giovani ragazzi. Quanto i sistemi di addestramento raggiungano i risultati utili al conseguimento delle abilità necessarie nella futura vita di servizio ? Le nostre strutture formative sono davvero al passo con i tempi o semplicemente ancora troppo agganciate a una tradizione figlia di metodi formativi più utili ai nostri bis nonni piuttosto che ai nostri giovani ?
Lapidarie risposte sarebbero semplicemente frutto di una personalissima opinione, per guardare dentro un contenitore di questo tipo devi avere il coraggio di chiedere a chi, per principio, non ha il diritto di pensare, di criticare, di esprimersi liberamente; per valutare cosa davvero si produce dentro quegli ambienti innanzitutto devi avere il coraggio di chiedere.
Chiedere, alla fine del percorso, come ti sei sentito, cosa davvero hai imparato, cosa credevi fosse quel percorso prima di iniziarlo, che cosa ti ha insegnato umanamente e professionalmente, che cosa ti ha fatto sentire apprezzato, che cosa umiliato, che cosa miglioreresti, che cosa elimineresti, quale situazione addestrativa ti ha insegnato qualcosa di utile per la tua futura vita umana e professionale.
Chiedere tutto questo, chiedere, prendendo spunto da quella disperata lettera, cosa ti ha insegnato non poter indossare “I dottor Martens” in libera uscita, che significato ha avuto per te rinunciare alla libera uscita a causa di un voto sotto la sufficienza o attendere un “contrappello” semplicemente per aver fatto “casino”. Queste o altre domande per capire cosa insegnano, se insegnano qualcosa di utile umanamente e professionalmente ma soprattutto comprendere se sono davvero formative per la psiche di un futuro Maresciallo dei Carabinieri.
Io quella divisa, quella dei Carabinieri l’ho indossata per breve tempo quando ancora il servizio militare era obbligatorio per i maschi in buona salute, il non poter uscire a causa di una mancanza o incapacità di aderire completamente a quella che ritenevo essere a tratti una illogica disciplina l’ho vissuta anch’io. Ricordo come fosse adesso il maresciallo che mi impediva la libera uscita perché sorpreso con la mano in tasca durante la coda in mensa, ricordo in maniera vivida il tenente che, il venerdì mentre ritornavo a casa in treno, mi ha sorpreso ad addentare un panino alla stazione…. peccato che indossando la divisa (perché a casa si tornava in divisa) tale comportamento era da ritenersi non decorso facendomi guadagnare 3 giorni senza libera uscita al mio rientro. Molti di noi potrebbero avere mille e più aneddoti legati a questo genere di “soprusi” il cui scopo lo comprendi probabilmente dopo tempo a patto di avere una fortissima motivazione.
Perché la divisa era un abito da rispettare, la mano in tasca o un panino consumato come qualsiasi villano rappresentava un’offesa a chi con quella divisa era caduto nell’adempimento del dovere così come il consono abbigliamento del militare in libera uscita deve rappresentare un distintivo tratto di chi anche libero dal servizio comunque rappresenta un’istituzione dello stato.
Su tutto questo, su cui si può essere più o meno in accordo, i nostri giovani sono in grado di aderire a questa visione del mondo ? In quella Scuola Marescialli si applica ancora in maniera troppo desueta il regolamento di servizio? Lo si applica in maniera così antica e aggressiva tale da gettare alcuni allievi nel più totale sconforto, così profondo da provocare il suicidio?
Se è vero che in determinati istituti di istruzione militare o paramilitare si insegnano cose del tutto inutili se non addirittura dannose per la psiche dei frequentatori perché certi insegnamenti sono ritenuti ancora essenziali ? Lo sono per davvero? Si riesce a spiegare quale sia il vero valore alla base di divieti apparentemente solo capaci di mortificare? L’educazione della famiglia media degli ultimi 20 anni è stata quella semplicemente impositiva o quella permissivo/discorsiva dove la mera imposizione non poteva e doveva trovare spazio? L’ufficiale o il sottufficiale comandante “buon padre di famiglia” che principi “familiari” applica nell’esercizio del “comando” ?
Siamo ancora capaci di sviluppare lo spirito di corpo attraverso le difficoltà che il gruppo deve affrontare attraverso la disciplina imposta dalle gerarchie? Questi giovani sono capaci di sentirsi fratelli di giubba attraverso l’imposizione di assurde regole che ha unito me ai miei commilitoni nel lontano 1998 alla Scuola Allievi Carabinieri di Fossano? Quella esperienza, a tratti apparentemente inutile, mi legò per sempre a persone assolutamente diverse da me per il solo fatto di aver sopportato insieme illogiche tirannie….. i nostri giovani sono ancora in grado di trarre beneficio da questi meccanismi che evidentemente ancora esistono ?
Beatrice Belfiore ci ha lasciato, la sua famiglia non può darsi pace, quanto abbia influito su quella drammatica scelta l’imposizione delle gerarchie militari lo sa solo lei….a noi però il dovere di guardare a queste cose cercando semplicemente di rendere le nostre divise capaci di affrontare la professione, e forse anche la vita legata a quel mestiere, qualcosa di umanamente e proficuamente sostenibile.
In Giacca Blu – Michele Rinelli