Non esiste vera cultura a prescindere dall’onestà intellettuale, chi crede che si possa onestamente crescere culturalmente considerando solo ed esclusivamente ciò che più piace e soddisfa non può non rendersi conto di abbeverarsi alla fonte della faziosità; pericoloso aspetto questo che attanaglia le culture di tutti popoli.
Non sono colto, non sono certamente una persona così qualificata da potermi ergere a mentore ma la visione del film “ DIAZ – Non lavate quel sangue “ di Daniele Vicari al posto di avermi arricchito dell’opinione di un’altra parte mi ha semplicemente svuotato facendomi rendere conto che forse la ricerca della vera cultura è un esercizio che onestamente riesce a pochissime persone.
Non è facile scrivere e criticare una pellicola che ha tratti di una faziosità e di una violenza che nemmeno in “Schindler’s List” si possono ritrovare…e lì si parlava di Lager!
Bolzaneto peggio di Auswitz, poliziotti peggiori della Gestapo che difficilmente hanno tratti umani, se non in qualche piccola sequenza, rappresentati come mostri nella penombra, informi, senza colore e senza caratterizzazioni.
Un film DIAZ che poteva essere importante per raccontare duramente riconciliando che invece esaspera all’eccesso le peggiori situazioni riportate, anche falsamente, negli atti processuali che dice, nei titoli di coda, essere stati consultati al fine di rappresentare al meglio i fatti.
Quei titoli di coda che diventano ancora più tristi quando viene evidenziato con enfasi il patrocinio del “Ministero dei Beni Culturali” e per cui sono qui a chiedermi che razza di cultura si è voluta rappresentare in quelle due ore di assoluta e inumana violenza, così inumana che anche quelli che di botte in piazza ne hanno prese tante probabilmente nemmeno riescono a crederci sino in fondo.
Che l’esperienza della “DIAZ” sia stata fallimentare e che abbia rappresentato un punto di rottura tragicamente importante per la gestione dell’ordine pubblico in Italia credo sia da tutti un fatto conclamato, più difficile invece è capire a che serva rappresentare con così tanta disonestà una realtà di parte, assolutamente sbilanciata a favore di chi non vede l’ora di speculare ancora per anni sul “Quel sangue che non deve essere lavato”.
Io credo che nessuno voglia lavare quel sangue, men che meno i poliziotti che vi parteciparono e che a vario titolo stanno pagando, non solo in termini di carriera, la partecipazione a quegli eventi e non mi riferisco di certo a quanti, dall’alto delle loro poltrone, hanno gestito malamente quella catastrofe.
Ma con questo film quel sangue diventa strumento di ulteriore morte, di ulteriore contrapposizione, l’ennesimo modo di dare da mangiare a chi specula sulla pelle dei giovani e di chi con il loro genuino attivismo vuole contribuire a rendere questo mondo migliore, perché cosa vogliamo fare credere ? Che tra quei poliziotti non ci fossero agenti che hanno indossato quell’uniforme per fare del bene alla propria gente ?? Cosa vogliamo far credere ? Che quelle divise scesero in campo per soddisfare semplicemente la loro voglia di sadismo ?
Cosa vogliamo raccontare o meglio, cosa non si vuole raccontare ?
Non vogliamo raccontare quanti giovani in quei giorni furono sfruttati politicamente da certi capi popolo che avrebbero voluto, a seguito di quei tragici fatti, intraprendere una fulminante carriera politica anche grazie a quel sangue che non deve essere lavato ?
Cosa non vogliamo raccontare ? Non vogliamo raccontare di poliziotti esasperati che erano tutto tranne che automi?
Non vogliamo raccontare nemmeno l’animo di chi credeva di andare a prendere i colpevoli di tutti gli amici e i colleghi sfiniti e feriti anche gravemente durante le lunghe ore di battaglia ?
Gente che non avrebbe, a seguito di quelle giornate, nemmeno più indossato l’uniforme perché divenuta inabile al servizio!
Vogliamo veramente far credere alla gente che quello che è accaduto è stata la normale routine di chi compie un lavoro duro, specie in quei giorni, dove i servizi sotto il sole cocente duravano 8-10 ore con il solo conforto di qualche panino e qualche bottiglietta d’acqua ?
Quanto è facile instillare nelle masse, istituzionali e non, il miraggio di un certo obbiettivo, specie se le stesse sono, come in quel G8, esasperate dagli eventi e dalle demagogie ?
DIAZ è il film delle cose non dette, delle storie non raccontate delle violenze fini a se stesse e basta, una vera porcheria, idonea solo ad alimentare l’odio e la contrapposizione sociale, umana e culturale ciò di cui in questo momento storico la nostra nazione non ha certamente bisogno.
Michele Rinelli – In Giacca Blu –