Le pecore, il gregge…e un offensivo premio alla normalità

“Meglio un giorno da Leoni che cento da pecore”, così recita un vecchio adagio che fa parte di una storia non troppo lontana da noi.

Essere pecore oggi, così come allora probabilmente, è molto semplice, qualsiasi cosa ci rende pecore a partire dall’abbigliamento, passando per la tecnologia, per finire ai modi di dire e di fare che spesso mutuiamo dalla TV, enorme canalizzatore di greggi.

Quella TV che con la sua informazione riesce a far passare la normalità di una situazione in un incredibile atto da condannare e aborrire così da farci scandalizzare tutti come isteriche verginelle.

Infatti, e mi riallaccio al concetto di cui sopra, ieri è stato il giorno delle pecore che diventano leoni ma che di fatto sono leoni sempre e che ogni manifestazione da quella più infima a quella più cruciale e importante vengono trattati così come denuncia uno dei video ormai tra i più cliccati del web.

Non c’è cosa più irritante di masse di pecore che solo oggi si stracciano le vesti in favore di quel povero Carabiniere che ligio e rigido al suo dovere esercita un self control non solo invidiabile ma assolutamente logico e normale in talune circostanze.

Uomini contro uomini al massimo della contrapposizione ideologica, che non si rispettano, che con non poca platealità ci fanno assistere alla normalità di ciò che avviene in moltissime delle manifestazioni che abbiamo avuto negli ultimi 15 anni.

Attacchi personali snervanti che lasciano basiti anche le persone più miti e concilianti che forse non sarebbero state in grado di reggere, al pari di quel Carabiniere, una pressione psicologica così forte e così prolungata.

Una pressione psicologica che richiede non solo una buona dose di autocontrollo e di equilibrio mentale ma che richiederebbe anche, cosa che non sempre accade, un addestramento specifico idoneo a far capire a ogni singolo operatore come spersonalizzare attacchi così duri e destabilizzanti.

Perché non è solo nelle tecniche dell’uso degli scudi o degli sfollagente che bisogna concentrarsi ma soprattutto nel far capire agli agenti come non reagire anche in circostanze estreme dove ad esempio  un casco, uno scudo e una maschera antigas diventano una trappola infernale specie se sono ore che stai sotto un sole rovente.

Impressiona la verginità del popolo pecora, o forse di più delle testate giornalistiche che hanno pubblicizzato certe sequenze, perché non si può celebrare l’eccezionalità di un evento  quando è sistematica e quotidiana.

A qualcuno poi, a questo punto, scene di accanimento intollerabili da parte delle divise forse potranno avere una chiave di lettura in più ma non certo una giustificazione.

Perché la gratuita violenza non deve essere esercitata su nessuna delle pecore di nessuno recinto.

Quando poi, una volta raggiunta la massima misura, si sciolgono le briglie certe parole, certi insulti, certe espressioni vengono nuovamente vergate una ad una ad ogni colpo di sfollagente.

Inaccettabile, ingiustificabile, contro la legge ma forse umano!

A tutti coloro che si sentono gregge o a quelli che aderiscono alle logiche del branco voglio solo dire che è ora di svegliarsi, che bisogna prendere coscienza che è necessario tornare al rispetto delle parti senza alimentare o addestrare persone al solo scopo di destabilizzare il sistema così come faceva quel barbuto notav, perché la normalità deve essere il sano confronto, la libera espressione della protesta non lo sfollagente in risposta alla sassaiola e all’insulto.

Un ultima cosa: il Comandante Generale dell’Arma Benemerita vuole premiare quel Carabiniere per l’enorme pazienza e rigidità militare avuta in quel contesto, si parla addirittura di encomio solenne.

Il gesto da parte dell’alto papavero militare per quanto apprezzabile credo però insulti la professionalità di altre decine di suoi uomini perché così facendo, visto quanto è normale in piazza ricevere certi improperi, svilisce e  mortifica l’operato di tutti gli altri che non hanno avuto la fortuna di avere di fianco a loro una telecamera importante disposta a trattare determinate immagini in un certo modo.

Perché premiare quel singolo militare  significa trattarci davvero come delle stupide pecore, solo taluni animali  possono credere che quell’episodio sia così eccezionale da premiare sugli altari della bandiera.

Per non sentirci quindi pecore, appiattite alla volontà del sistema di informazione, non sarebbe meglio istituire un riconoscimento collettivo per tutti coloro che nelle fredde notti dell’inverno piemontese o sotto il caldo devastante delle tute da op all’interno di un cantiere e non solo si sono presi pietrate, gavettoni di urina, getti di biglie a tradimento da delinquenti appostati tra le frasche militarmente organizzati ?

In fondo credo che tutti loro meritino un premio  non solo quelli che per loro fortuna finiscono davanti alla telecamera giusta.

Michele Rinelli – In Giacca Blu

Una preghiera…per nessuna violenza!

Nessuna protesta può valere quanto una vita umana, nemmeno la più inutile e più infima dovrebbe essere sacrificata agli altari dell’interesse pubblico o privato che sia.

Così come non esiste servizio di ordine pubblico che si possa definire ben riuscito se, a seguito di questo, è stato necessario far intervenire ambulanze, medici e sanitari di ogni specie.

Chi crede che le carriere di taluni soggetti esponenti della forza pubblica si basino su quanti morti e feriti riescono a collezionare si sbagliano di grosso perché la realtà è che ciascuno di loro avanza di carriera in base a quanta incolumità, da ambo i lati, sono riusciti a garantire con le loro strategie di gestione.

E’ chiaro che qualche eccezione vi sarà sempre, che qualche situazione difficile e ingestibile toccherà a chiunque ma nessuno è attualmente così disonesto dal godere e speculare in positivo sulle mille variabili, in particolar modo quelle tragiche, che possono insinuarsi durante un servizio di ordine pubblico.

Diciamo subito che Luca Abbà, militante di spicco della Val Susa , mai avrebbe dovuto concludere la sua forma di protesta in maniera così tragica e così folle e che non esiste via ferroviaria che valga la vita di nessuno anche fosse  quella del più scalmanato e facinoroso ne tanto meno quella di un rappresentante della forza pubblica.

Quello che però forse disturba è quanto si stia facendo di tutto per strumentalizzare e martirizzare la figura di Abbà per innescare quel sentimento di protesta, odio e guerra verso le forze dell’ordine, le stesse che nonostante si sia in presenza di uno scellerato gesto da parte di un singolo manifestante vengono additate come repressive e assassine, come se quell’arco fotovoltaico sia stato provocato deliberatamente da chi indossa la divisa e non da chi per scelta è salito su quel traliccio mettendo a repentaglio la propria vita e, se vogliamo, anche quella di chi per dovere non poteva non esortarlo da vicino a spostarsi da quella pericolosa posizione.

Così che garantire quella sicurezza imperativa a chi protesta legittimamente diventa l’alibi, la scusa, il pretesto, per gettare odio e responsabilità inesistenti verso colui che, per lavoro, avrebbe potuto essere egli stesso coinvolto in quella medesima scarica mortale.

Protestare non è solo un diritto, è sacrosanto, esprimere il proprio dissenso liberamente è quanto di più bello la democrazia ci ha concesso, strumentalizzare però il folle gesto di un singolo manifestante per fomentare odio e reazioni violente è quanto di più bieco e squallido ci possa essere.

Ed è così che dobbiamo pregare per Luca, dobbiamo pregare affinchè non paghi ulteriormente quello sconsiderato gesto, perché se ci dovesse lasciare, se il destino si accanisse contro il suo insensato e folle martirio, lo stesso sarebbe certamente utilizzato ancora di più ad uso e consumo di chi non vede l’ora di avere la scusa per gettare quel seme dell’odio capace di giustificare, specie nelle menti meno lucide, atti di inaudita violenza, trasformando una legittima protesta in un atto di guerra.

Nessuna divisa li presente avrebbe mai voluto un epilogo di questo genere per Luca, tanto che il blitz annunciato per il giorno successivo è stato intelligentemente anticipato per ridurre al minimo quel corpo a corpo che comunque ci sarebbe stato; un governo deve necessariamente imporre la propria potestà e di tutto deve essere fatto affinchè la stessa possa essere esercitata senza inutili e pericolose contrapposizioni….e senza spargimenti di sangue.

Il mio invito è quindi a pregare per Abbà, per la sua giovane vita così follemente messa a rischio ma anche per quella di tutti coloro che in contrapposizione devono gestire in queste ore quegli attacchi speculatori volti semplicemente a generare odio e morte perché per alcune menti, magari non troppo lucide o forse troppo passionali, è facile far credere che Luca sia vittima di quella repressione tanto decantata e spesso poco analizzata per le più svariate ragioni.

Speriamo che il destino non regali a nessuno dei capi popolo il pretesto di vendicare la morte di chi, alla fine, ha compiuto deliberatamente un gesto sconsiderato e che ha messo a rischio l’incolumità sua e di chi, sono certo, avrebbe voluto riportarlo alla ragione al posto di vederlo cadere così tragicamente.

 

Michele Rinelli – In giacca Blu

L’esempio, l’oblio e il rispetto – Onore ad Antonio Custra.

La storia consegna foto, documenti, immagini, riprese, ci lascia attoniti, impauriti, sperduti, spesso devastati, la storia è un calderone dove non è difficile perdersi per poi non ritrovare quel bandolo della matassa necessario per capire davvero  perché qualcuno, dall’alto di un certo potere, potrebbe convincerci e raccontarcela a suo modo.

Non c’è aspetto più importante per comprendere un popolo e le sue dinamiche se non attraverso la storia e nonostante questa sia spesso li ad uso e consumo di tutti non è difficile riuscire, nonostante alcune acclarate verità, a rimanerne inutilmente scandalizzati.

Vi è una foto facente parte di un oggettiva stagione della storia del secolo scorso che è strano ancora riesca a suscitare stupore, incredulità, sgomento.

La foto è questa qui sopra, era il 14 maggio del 1977 a Milano in via De Amicis, in quella via e quel giorno morì il Poliziotto Antonio Custra ferito mortalmente dalla follia di chi imbracciando le armi sull’onda del vigore giovanile credeva che così facendo avrebbe cambiato il mondo.

Il Poliziotto Custra è solo una delle tantissime vittime di quella stagione di lacrime e sangue che hanno riempito le piazze di quei anni ed è forse più facile oggi riuscire a trattare quegli eventi con più distacco anche se nell’immaginario di chi scrive così tanta morte, sangue e dolore sono stati davvero eccessivi per quel poco che si è davvero ottenuto.

Chi come me è esponente di un istituzione statale come la Polizia crede e sostiene che i dispensatori di dolore e morte debbano essere rigorosamente puniti e successivamente consegnati all’oblio del tempo e  non certo riassorbiti all’interno di quel sistema che con il loro agire hanno violentemente avversato.

Così che quella foto, simbolo di un epoca, di una città, di un movimento, dovrebbe suscitare solo radicale disprezzo e non attuale e inimmaginabile polemica.

In quella foto, con la rivoltella in mano (non sappiamo se effettivamente uccise, è bene dirlo), vediamo un certo Maurizio Azzolini, all’epoca dei fatti solo 18 anni, che nonostante i suoi evidenti trascorsi, oggi si fregia di occupare la sedia di capo di gabinetto dell’attuale sindaco di Milano Pisapia.

A ben vedere il Dott. Azzolini ad oggi non è certo al suo primo incarico all’interno del comune di Milano, anzi, anche con la giunta precedente è stato validissimo e stimatissimo collaboratore.

Quello che forse mi fa specie non è tanto che un uomo come lui si sia giustamente rifatto una vita, una carriera, un buon posto di lavoro, ciò che mi disturba è dove la sua professione viene spesa ossia al soldo di quel medesimo potere che ha combattuto armi in pugno.

Ancor peggio è pensare a quel sistema che certi individui, anche se in pari con la giustizia,  li tollera, li cerca, concede loro altissimi posti di rilievo che  persone che non hanno mai imbracciato armi nemmeno si sognano, come posso io raccontare a mio figlio che farà carriera con l’onesta, lo studio e l’impegno ?

E’ cronaca di questi giorni che una baby gang barese ha seminato il panico nel capoluogo pugliese organizzando violente rapine ispirandosi deliberatamente a personaggi come Vallanzasca o i Fratelli Savi utilizzando i loro film come cult per diventarne degni emuli.

Loro erano, o forse sono, ragazzi normali, giovani che leggono il mondo con il filtro di chi cerca di apprendere come emergere e realizzarsi.

Se una persona come il Dott. Azzolini ha raggiunto determinati livelli essendo stato anch’egli il simbolo  di una certa violenza come possiamo dire a questi giovani pugliesi appena arrestati e non solo a loro che, in fondo, esprimersi con la violenza non serve ?

Nutro rispetto per chi paga i suoi conti con la giustizia, così come per il Dott. Azzolini,  che peraltro non è fuggito come tanti altri, ma ne ho molto di più per chi dopo ricerca l’anonimato, quel rigoroso oblio che certe figure violente e storiche dovrebbero ricercare come l’ossigeno…ma purtroppo non sempre accade.

Onore al Brigadiere di Pubblica Sicurezza Antonio Custra.

Michele Rinelli –  In Giacca Blu

L’inchino è per gli eroi e per la piccola Dayana

A distanza di un mese il Costa Concordia, grazie  all’audacia dei soccorritori, restituisce alla pietà dei propri familiari il corpo di altre otto vittime di quel folle inchino tramutatosi in una delle più assurde tragedie del mare.

Nei salotti televisivi, dove in ogni modo tutti si sono sentiti in diritto di dire la loro, abbiamo ascoltato le “peggiori” disamine sui fatti accaduti e forse di quelle vittime e dispersi abbiamo parlato troppo poco probabilmente attratti di più dal gossip di un comandante rubacuori e dai vizi che su quella nave, forse, si consumavano.

Vizi, gossip e malsane virtù che hanno profondamente segnato in negativo la percezione di quel concetto che dovrebbe essere proprio di quei individui così in vista e così tanto pagati: la professionalità.

Se c’è una cosa che nella tragedia del Costa Concordia salta subito agli occhi è il fatto che troppe questioni attinenti alla sfera professionale di chi quella nave la dirigeva e a vari livelli la gestiva è quella mancanza di serietà, “know how”, senso del dovere che dovrebbe essere tipica di chi si fregia del titolo di comandante o responsabile.

Un aspetto questo che assume contorni sinistri e barbari se pensiamo che tale e grave fatto è passato da oltre 60 minuti di immobilismo, dove quel “Vabbhuo” e “Agg fatt nu guiah”, rappresentano la celebrazione di quanto troppo spesso chi si pone ai vertici di un qualsiasi sistema non sempre possiede capacità veramente certificate per  assolvere e ricoprire certi ruoli.

Si badi bene che l’utilizzo di frasi in dialetto napoletano non implicano di per se un basso grado di professionalità di cultura o  di preparazione ma forse più semplicemente una distorta percezione della realtà determinata da chissà quali questioni e chissà quali pregressi eventi.

In questi casi si dice: abbiamo fiducia nel lavoro della magistratura ma ancor prima dovremmo prevenire il fatto che la magistratura possa in qualche modo avere voce in capitolo e lavorare affinché stupidi inchini come questi non abbiano più a ripetersi.

Perché se è pur vero che in una navigazione turistica non si può fare a meno di tali procedure di avvicinamento alla terraferma è anche vero che esiste un codice della navigazione che le vieta;  il lavoro dei controllori quindi non può non essere  rigoroso e puntuale e che se come già esternato più volte tale procedura rappresentava una normale consuetudine credo che chi ha omesso di controllare nel recente passato tali e più fortunati inchini debba assumersi anche a posteriori le proprie responsabilità.

Abbiamo idolatrato il Capitano De Falco che ci ha inorgoglito di essere Italiani schiacciando verbalmente Capitan Schettino ma non dimentichiamo che, come aggiunto nei giorni a seguire dall’umile ufficiale della Marina Militare, lui ha fatto solo il suo dovere, quello che forse avrebbero dovuto fare prima, in altre e ben più fortunate circostanze in cui una simile tragedia è stata più e più volte sfiorata.

Di questa tragedia abbiamo dimenticato moltissimi aspetti, ammaliati sempre di più dalle chiacchiere, dove bionde dell’est Europa esternano racconti alla “Love Boat”, dove varie associazioni di pseudo consumatori e viaggiatori si spendono in battaglie per i risarcimenti che hanno più il sapore della speculazione che della reale ricerca della  giustizia facendo perdere di vista che in quella nave ancora vi sono morti e dispersi e che non è detto che tutti i parenti potranno riabbracciare i feretri dei loro congiunti…per colpa di chi, profumatamente pagato, si è inchinato del tutto alle esigenze del business.

Ed è  per questo che è giusto ricordare il sacrificio di chi in questo momento cerca disperatamente di restituire alla pietà dei propri familiari l’inumano risultato di quel folle gesto che la marineria mondiale ormai aberra e schernisce.

Oggi infatti  sono loro i veri eroi: Vigili del Fuoco, Poliziotti, Carabinieri, Finanzieri, Guardia Costiera, uomini che con il loro agire e il loro pericoloso lavoro hanno restituito alla pietà della propria mamma la salma della piccola Dayana di soli 8 anni rinvenuta, forse assieme al proprio padre ancora da identificare compiutamente, a soli 20 mt dalla salvezza, quei 20 mt che in quell’ora di immobilismo quasi certamente sarebbero potuti essere percorsi e regalare a quel angelo e al suo giovane padre  la vita e la salvezza.

 

Michele Rinelli –  In Giacca Blu –

Milano spara…e forse poco si addestra!


Capita spesso che ti fermi al bar per un caffè e inizi a conversare su tematiche lavorative, del resto la divisa suscita sempre quel pizzico di interesse in più specialmente tra coloro che magari certi  eventi che tu vivi  nel quotidiano altri li leggono solo sulla cronaca.

Quell’uniforme che attira sguardi, non sempre benevoli, scatena nell’immaginario collettivo strani miti e simpatiche attenzioni specie se lo sguardo cade su quel cinturone pieno di ferri che non a tutti sono così familiari.

Su quei ferri poi è facile cominciare a scherzare e non mi riferisco certamente ad improbabili usi diversi che in una camera da letto si possono fare delle manette, anzi, forse quello sarebbe il più simpatico e goliardico di tutti poiché il pezzo che suscita più curiosità è, nemmeno a dirlo, quella Beretta sul fianco.

Sarà che mi sono abituato, sarà che l’età del “Miiii so sbirro e c’ho la pistola” l’ho passata da un pezzo e quindi alle volte nemmeno mi rendo conto ma nell’immaginario che anima le clientele dei più disparati bar dello stivale la calibro 9mm attira sempre visioni che alle volte hanno il sapore di romantiche rivincite su ciò che nella società non funziona.

Così non solo il genitore attento e superficiale  indica al figlio di avere quasi un timore reverenziale di quel pezzo di ferro nero ma il pensionato, ricordando i bei tempi andati, comincia ad elencare cosa riuscirebbe a fare lui se al fianco avesse tale e oneroso strumento.

Menomale che rimangono solo chiacchiere da bar!!!

Perché fuori dal bar, nella vita reale, quella dove ci sono delle regole e dove la pubblica opinione, di cui anche quel bar fa parte, è la prima a voltarti le spalle se sbagli, non perde tempo a condannarti se non sei stato nelle regole, fino a scendere anche in piazza pur di mettere alla gogna, non solo mediatica, il malcapitato collega.

Quello che è successo, ad esempio, all’ormai ex poliziotto Luigi Spaccarotella che nell’errata valutazione o forse percezione di quando è giusto estrarre e usare l’arma, ha ucciso tragicamente il tifoso laziale Gabriele Sandri.

Un gesto, quello dell’ex agente della stradale, che deve far riflettere su quanto quel ferro, guardato con ironica benevolenza all’interno dei bar, sia in verità un onerosissimo  strumento che se usato come dei folli tex willer può portare a tragiche conseguenze e a dover scontare per esse sino a 9 anni di carcere come recentemente confermato in via definitiva dalla cassazione.

Nessuna giustificazione sia chiaro, Spaccarotella deve pagare e amaramente per un gesto così inutile e senza senso!

Una follia che nello stesso giorno in cui la cassazione conferma per Spaccarotella 9 anni di galera potrebbe diventare la medesima per un Vigile Urbano di Milano che, probabilmente, ha sparato senza motivo, uccidendo un giovane cileno che stava semplicemente scappando.

Una dinamica che dapprima sembrava una legittima difesa ma che a posteriori, arrichitasi di testimonianze e particolari,  sembra essere l’epilogo di una “folle paura” che forse a Milano, i Vigili in particolar modo, stanno provando a seguito della dipartita del loro collega Niccolò Savarino investito da un suv.

Una perdita quella di quel Vigile di quartiere che non deve però far muovere l’operatività dei ghisa milanesi sull’onda emotiva dettata, probabilmente,  da quella tutela che  da parte delle istituzioni  si percepisce sempre meno.

Un lavoro che però non può essere lasciato orfano sopratutto in termini di addestramento e formamentis perché così come ieri Spaccarotella e oggi il Vigile di Milano sembrano essere in realtà il risultato di quella mancanza didattica  necessaria per creare non solo capacità ma anche mentalità di approccio all’uso dell’arma.

Per strada gli articoli di legge ce li ricordiamo tutti ma senza una formazione puntuale e periodica, che genera formamentis,  è impossibile aumentare la possibilità di portare a casa la pelle quel giorno che davvero dobbiamo necessariamente sparare….per finire poi nella nera in modi così assurdi, dove i buoni diventano i cattivi.

Avere una polizia efficiente non può passare dalla gogna mediatica perché non è con la paura di sbagliare che dobbiamo operare ma con la consapevolezza, invece, di essere stati ben addestrati….un addestramento che non basta mai e che guarda troppo ai problemi di bilancio…..ma sembra che più di qualcuno, ahinoi,  non riesca proprio capire.

Michele Rinelli –  In Giacca Blu

Loro non pensavano alla “Responsabilità Civile”…ma alla mafia!

Ogni giorno suonano fastidiose sveglie e ogni giorno milioni di persone scenderanno dal letto prendendosi la responsabilità della giornata che vivranno, del lavoro che svolgeranno, dei figli che dovranno crescere e di quelle persone che insieme a loro condivideranno obbiettivi e oneri legati a ciò che viene comunemente definita vita.

Ogni santa mattina che Dio ci manda in terra ciascuno guarda il proprio volto nello specchio del bagno, appoggiati al lavandino che di sicuro attende di essere bagnato dalla fresca e rigenerante acqua.

In quello specchio non possiamo fare a meno di vedere quelle rughe dell’età, i timori, la paura, le responsabilità di un ruolo, di uno qualsiasi: che sia genitore, studente manager o operaio sappiamo tutti,  perfettamente, che tutto ciò che passerà tra quelle mani, in attesa di quell’ acqua fresca che scorre, dovrà essere il frutto del nostro lavoro e della nostra responsabilità.

Ogni persona credo debba essere consapevole di quanto il suo agire può essere importante e essenziale, lo sanno i medici, gli infermieri così come gli operatoti delle forze dell’ordine ma perché non può saperlo, ad esempio, anche l’operaio specializzato o un capo cantiere che se non agisce in conformità di norme e regolamenti potrebbe erigere ponti con cementi che  assomigliano più al polistirolo che al più nobile dei materiali duri presenti nell’edilizia ?

Ciascuno quindi non può e non dovrebbe esimersi dal sentirsi responsabile di ciò che è, di ciò che fa ma sopratutto delle responsabilità che ha con il suo agire.

Di questa responsabilità, però, si parla poco in particolar modo riguardo ai Giudici, ai Magistrati, ed è strano, perché come tutti, anche loro ogni mattina si lavano il volto con la medesima acqua che utilizza un capo cantiere che di certo alle sue responsabilità non può sottrarsi.

E non è facile populismo che voglio sostenere e non sono nemmeno a qualche  indagine che a seguito delle quali in moltissimi si sentono solo indebitamente perseguitati tanto da sostenere tesi e posizioni così disfattiste verso le toghe da essere non solo offensive verso il prezioso lavoro dei magistrati ma assolutamente pretestuose e inverosimili.

Non è infatti mia intenzione sostenere strambe campagne contro i giudici, tutt’altro, io voglio solo capire perché sia così difficile essere sereni nell’affrontare queste tematiche, i magistrati sono preziosi lavoratori di questo stato con enormi oneri e responsabilità e come tali vanno trattati attraverso l’applicazione di giuste regole e sopratutto  giuste tutele anche per loro.

Sembra   che si faccia  di tutto però per soffocare immediatamente le polemiche, come se la loro “Responsabilità Civile” fosse un tabù come parlare per la chiesa cattolica di contraccezione:  è assurdo!!

Abbiamo fulgidi esempi di magistrati immolatisi per il bene comune e che per onorare le loro responsabilità si sono fatti uccidere, gente che avrebbe potuto girarsi dall’altra parte, invece al contrario, non hanno temuto certo una “Responsabilità Civile” …. forse per loro era l’ultimo dei problemi.

Nessuno può negare che essere magistrato sia un lavoro duro, difficile, ricchissimo di enormi e inimmaginabili peculiarità ma nell’approccio e al taglio che viene dato alle loro responsabilità dai mass media sembra esservi non tanto la voglia di tutelare un mestiere, una professione particolare ma semplicemente quella di non parlarne e basta perché così deve andare, punto!

Qualcuno pensa che esser giudici, in Italia, significa essere degli Dei ?

Falcone e Borsellino, se così fosse, sarebbero ancora qui a combattere il cancro mafioso!

Non si può cadere nel tranello che in nome dell’indipendenza della magistratura si possa autorizzare a fare e disfare senza utilizzare i giusti metodi per  ridurre  il rischio di incorrere nell’errore evitabile, perché a questo bisognerebbe tendere, solo a questo e forse solo questo si pretende.

E ‘incredibile come non si affronti anche un’altra annosa questione ossia che l’accesso alle carriere dei magistrati non è confortato da selezioni psichico attitudinali così da aumentare sin dalle origini la capacità del sistema di generare errori.

E se su di noi decidesse un “pazzo” cosa accadrebbe ?

Un poliziotto non può essere un pazzo, giustamente, e quindi almeno all’inizio deve essere sottoposto a severissimi test psicologici ma crediamo davvero che a un poliziotto siano affidati equilibri superiori a quelli dei magistrati ?

Avere una pistola non è l’unico onere di chi pattuglia le strade!

Una giustizia, la nostra, che ha tanti problemi come tanti ne ha questa nostra povera Italia ma che come tutti i problemi del bel paese troppo spesso non ha il coraggio di affrontare perché, purtroppo,  certe rivoluzioni incidono su quello status quo a cui nessuno vuole davvero rinunciare….e forse hanno anche un costo economico che attualmente non ci si può permettere.

Ogni giorno ogni uomo si assume la responsabilità di ciò che dice e di come agisce, ogni giorno milioni di mani si muovono per il bene comune e,  se si sbaglia, fascicoli e condanne vengono giustamente aperti e scritte, perché quindi giudici e magistrati, uomini di potere come loro, non devono discutere serenamente, senza levate di scudi, di quanto impegno è necessario mettere per fare con equilibrio e determinazione con il minimo degli errori possibili  il loro lavoro ?

Michele Rinelli – In Giacca Blu –

Non solo A.C.A.B – Il valore della VERGOGNA!

Quando sai da che parte stare non ci sono molti ragionamenti da fare, il solco è dritto, delineato, certo, non sempre coerente perché la coerenza ha altri percorsi, altre priorità ma sapere cosa scegliere e a cosa protendere all’interno di quel tracciato dovrebbe garantire un miglior approccio alla vita.

Dovrebbe perché in questa società, oramai da parecchio tempo, si è perso il significato di tanti valori, sacrificati all’altare della libertà e del progresso, nei gangli di quella logica, ipocrita ma non del tutto falsa del “si stava meglio quando si stava peggio”.

Così è facile rimanere amareggiato, stordito, un pò interdetto da certe situazioni  della cronaca, anzi, è sempre più semplice scorrere le notizie percependo un continuo e assurdo declino.

Non credo che per chi abbraccia un ideale, attraverso anche la scelta di una vita in un uniforme, sia più facile decidere da che parte stare, l’educazione, l’imprinting umano, sociale e culturale l’abbiamo ricevuto tutti ma è forse in un male inteso senso di libertà e “uguaglianza” che stiamo gettando nell’immondizia buona parte della nostra cultura.

Tra le mille sfaccettature di questo scempio, tra tutte le parole che questa società ha svuotato o ribaltato il significato ve ne è una in particolare che forse meglio condensa quell’importante declino  a cui mi riferisco, questa è la parola VERGOGNA!

Nessuno vi reagisce più, quasi non esistesse, quasi fosse normale non vergognarsi così da rendere possibile tutto senza che nulla costituisca davvero un disvalore.

Non l’ha percepita, per esempio,  l’Onorevole Lusi dell’Ex partito della  “Margherita” che dopo aver fatto sparire 13 milioni di euro dalle casse del partito, privo di vergogna, si è presentato ai giudici per patteggiare la pena, un pò come si fa al mercato quando ci si incontra per contrattare una fornitura di qualche merce.

Così come di vergogna non né prova il bel Renè della Comasina, tal Vallanzasca, che di ergastoli ne deve ben 8 al Popolo Italiano ma che bellamente scrive libri, dirige film, ora addirittura se ne va anche a lavorare, sicuro di aver scontato, in nome del popolo italiano, ben 8 “Fine pena mai” …. che gli dovrebbero garantire, insieme a tanti altri delinquenti al suo pari, fin’anche una degna sepoltura all’interno delle carceri.

Di vergogna in vergogna, di cui bene non si capisce ormai il significato, mi riallaccio alle parole di Pierfrancesco Favino, protagonista dell’ultimo film ACAB.

In una recente intervista ha dichiarato che durante le riprese del discutissimo film sui “Celerini – Bastardi” lo stesso ha ricevuto numerose minacce ed esortazioni al vergognarsi perché si stava cimentando nella rappresentazione di un poliziotto.

Tali esortazioni alla vergogna, di contro, mai gli sono state rivolte invece per aver interpretato magistralmente il ruolo del “Libanese” nel film “Romanzo Criminale” come se essere un membro della Banda della Magliana sia di gran lunga più onorevole che interpretare e indossare l’uniforme di un poliziotto, anche fosse una grande bastardo.

Così che mi chiedo, a questo punto, che cos’è  la VERGOGNA ?

Che cosa di essa è rimasto in questa società?

Perché se riteniamo normale che un “ONOREVOLE” si intaschi 13 milioni di euro e vada a mercanteggiare la pena, un pluriergastolano, che ha tolto la vita a decine di persone, possa tornare tranquillamente a lavorare e un attore non può serenamente fare il suo lavoro solo perché nella sua carriera ha deciso di passare dai Cattivi” ai “Buoni”, è evidente che  più di qualcosa in quel meccanismo di scelta e coerenza di questa società si deve essere spezzato.

Credo quindi che sarebbe meglio ricominciare ad insegnare, per ben sperare nei nostri figli, il significato della parola VERGOGNA che troppo poco si percepisce in quegli scritti di cronaca politico-sociale-giudiziaria che adora raccontarci il gossip che sta dietro alle vicende e troppo poco condanna il degrado e il disvalore che tali vicende contribuiscono ad alimentare nella nostra società.

 

Michele Rinelli – In Giacca Blu

Yara: Chi ben comincia è a metà dell’opera….

Sembrano passare un pò in sordina, forse affogate da quella neve che cade copiosa, le notizie che provengono da Bergamo, dove senza mezzi termini, politici e cittadini, si scagliano contro il Pubblico Ministero titolare delle Indagini sul delitto di Yara Gambirasio.

Non è una notizia così banale, a dir la verità, perché questo contrasto, o forse sarebbe meglio dire moto di protesta, è il sintomo di quella sfiducia sempre crescente che la popolazione riserva nei confronti delle sue istituzioni specie verso quelle che, a vario titolo, amministrano la giustizia.

Il tragico caso della piccola Yara di “criticità” ne ha vissute davvero parecchie e  a distanza di così tanto tempo, dove le indagini ormai sembrano a un vicolo cieco, una richiesta di rimozione dall’incarico all’attuale PM titolare Letizia Ruggeri potrebbe non essere poi così infondata visto che, a ben vedere, la giustizia è amministrata in nome del popolo Italiano.

Vero è che quegli scontenti non sono il popolo ma una parte di esso, molto piccola in verità, anche se è inutile negare che la giustizia e i suoi apparati collezionano da tempo  sempre più brutte figure.

Da Avetrana a Perugia passando per Garlasco tanti, troppi, cominciano a essere i casi davvero risolti e proprio per questo comincia a essere sempre più facile mettere in discussione l’operato degli inquirenti che fanno i conti non solo con le ristrettezze di bilancio ma forse anche quelle di un codice di procedura penale che di certo non rende facile, grazie a taluni meccanismi, la serenità e la fattibilità delle indagini che, non dimentichiamolo, non sono dirette dai poliziotti ma dai magistrati che, se pur di provata esperienza, forse non sempre hanno quel background culturale e professionale  tale da muoversi sempre al meglio nel corso delle indagini più spinose in particolar modo quando vi sono forti pressioni da parte della pubblica opinione.

E’ necessario quindi riflettere davvero sul perché di tanti buchi nell’acqua senza scandalizzarsi o addirittura pretendere magistrati di provata esperienza quando, nei fatti, in particolare il PM titolare del caso di Yara, proprio l’ultima arrivata non è.

Se negli ultimi anni, come detto, troppi presunti assassini sono diventati presunti innocenti, perché le indagini mai riuscivano con assoluta certezza a individuare i colpevoli, chiediamoci se non ci sia un problema di formazione, di mentalità, di ambiente, di circostanze che vanificano e annichiliscono il lavoro di validi e qualificati inquirenti come quelli impegnati sul caso Gambirasio.

Chiediamoci se davvero, per problemi di bilancio, non si cominci ad improvvisare troppo spesso un lavoro che di improvvisazione poco o nulla dovrebbe avere, chiediamoci se quelle certe risorse necessarie non siano sempre meno e sempre troppo poche e che, per colpa di esse, gli errori inneschino un effetto domino tale da svuotare completamente e sempre più frequentemente  tutto il lavoro a seguire.

Sembra essersi perso negli anni il “Know How” di come indagare rapidamente e bene, perchè ?

Troppo semplice prendersela con le persone che per tanti motivi non possono fare fronte alle criticità per mancanza di risorse (umane, economiche e formative).

E’ luogo comune ritenere che chi ben comincia è a metà dell’opera e nei casi di omicidio fondamentali sono le primissime ore per isolare i possibili autori.

In quei frangenti il corpo della piccola Yara, da quello che si è potuto capire dopo tre mesi, già giaceva non lontano dal luogo della scomparsa e nonostante l’imponente macchina dei soccorsi e delle ricerche la salma della piccolina è stata ritrovata dopo tanto tempo.

Fermo restando che di per se non trovare un corpo non è un errore ma una tragica situazione sfavorevolissima alle indagini è legittimo chiedersi però se quei importantissimi volontari impegnati nelle ricerche siano stati ben coordinati e ben addestrati da qualcuno a tale scopo.

Esistono tecniche di ricerca su un territorio che vanno spiegate e anche provate con esercitazioni organizzate, non basta avere una divisina con il logo “Protezione Civile” per improvvisarsi “soccorritore” e  non credo sia giusto banalizzare un compito così importante come la ricerca e il soccorso di persone sacrificandolo ai buchi di bilancio.

Perché ad improvvisare, lavorando a costo zero e senza formazione, credo esponga noi tutti e il nostro sistema verso un declino di cui il caso Gambirasio è solo l’ennesima dimostrazione che è necessario fare di più e meglio…magari con qualche incremento negli investimenti  e non solo con qualche strana e ipotetica riforma….a costo zero!

Troppo facile prendersela con il PM che  in fondo, come tutti, sono certo cerchi di fare al meglio il proprio lavoro.

 

Michele  Rinelli – In Giacca Blu